Valutazione e diagnosi di personalità in adolescenza: un'opportunità per interventi focali e tempestivi
La valutazione dei disturbi di personalità in adolescenza è un argomento senz’altro controverso, oggetto negli ultimi tempi di un acceso dibattito clinico e di ricerca (Sharp & Wall, 2018). Sebbene sia logico pensare, anche grazie agli studi longitudinali, che i disturbi di personalità abbiano le loro radici in età evolutiva, l’approccio del DSM ha scoraggiato, anche per la comprensibile ragione di evitare una precoce possibile stigmatizzazione, la formulazione della diagnosi di personalità in adolescenza. In questo ha inoltre inciso la scarsità, fino a qualche anno fa, di strumenti di assessment idonei ad una valutazione della personalità età specifica (Fontana et al., 2021; Benzi et al., 2021). Risultava problematico, infatti, applicare i criteri del DSM costruiti per gli adulti ad un adolescente in difficoltà con l’affrontare i suoi compiti evolutivi.
Le questioni, infatti, che spesso i clinici si trovano ad affrontare nella consultazione con gli adolescenti e le loro famiglie sono molteplici: come mai lo sviluppo di questo adolescente si è arrestato? È un momento transitorio o sta emergendo un aspetto della sua personalità destinato a durare nel tempo? Come mai il crollo si è verificato in questo momento? Quali risorse ha il paziente e il suo sistema familiare? Di fronte a queste domande abbiamo bisogno di dimensioni che permettano di comprendere il funzionamento della mente adolescenziale, in particolare i processi di costruzione della sua identità con le relative traiettorie evolutive.
Non è un caso che si possa quindi creare una situazione paradossale. Come messo in luce dalla ricerca condotta da Laurenssen, Hutsebaut, Feenstra, Van Busschbach & Luyten (2013), la maggior parte dei clinici inclusi nello studio (57.8%) ritengono possibile diagnosticare la presenza di disturbo di personalità in adolescenza, ma solo una limitata percentuale di questi (8.7%) formulano effettivamente la diagnosi. Questa situazione comporta il rischio di non porre sufficientemente il focus su quelle funzioni della personalità che sono in via di strutturazione in adolescenza e che mostrano una moderata continuità con la vita adulta. Prendiamo come esempio i criteri del disturbo borderline e del disturbo narcisistico. Gli studi longitudinali mettono in luce come, ad esempio, la gravità dei sintomi borderline possa decrescere con il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Purtroppo però, come testimoniano le ricerche del Children in the Community (CIC) Study, l’impairment nel funzionamento relazione e sociale si protrae nel tempo. Per quanto riguarda i criteri del disturbo narcisistico, possiamo osservare un pattern analogo: alcuni adolescenti hanno traiettorie evolutive che tendono alla stabilizzazione del disturbo anche in età adulta, mentre altri evidenziano un miglioramento nel corso del tempo che si accompagna ad un miglioramento nella coscienziosità e ad una diminuzione del nevroticismo (Dowgwillo, Pinkus & Lenzenweger, 2019). La buona notizia è data dalla possibilità di recovery presente nello sviluppo della personalità adolescenziale, grazie alla plasticità dello sviluppo cerebrale ancora in corso e alla possibilità che le esperienze relazionali possano promuovere una ripresa dello sviluppo. L’aspetto problematico è dato dal fatto che abbiamo bisogno di valutare in modo accurato e condiviso l’adolescente, le sue relazioni e il suo contesto e, di fatto, manchiamo a volte di accuratezza diagnostica.
Questo aspetto ha delle evidenti ricadute sull’intervento clinico e sull’organizzazione sanitaria, un punto questo importante se pensiamo all’aumento di richiesta di interventi psicologici in ambito adolescenziale con l’avvento della pandemia (Lancini et al., 2021). In questo, un’accurata valutazione della personalità e delle sue dimensioni, permetterebbe in prospettiva di avvicinarsi al modello del clinical staging applicato in altri ambiti della psicopatologia. L’idea di fondo (vedi il bel lavoro di Chanen et al., 2016) è di un intervento modulato sulla gravità dell’evoluzione del quadro clinico, con la possibilità di dare un sostegno (ad esempio, un sostegno alla genitorialità) nei casi che rientrano più nella fascia del rischio e della crisi, mentre si offre un maggior intervento e presenza clinica (psicoterapia etc…) in quei casi in cui si supera il livello di rischio e si passa alla strutturazione più stabile del disturbo. Per applicare questo modello, è evidente l’importanza di una sofisticata e predittiva formulazione del quadro clinico adolescenziale e del contesto interpersonale (famiglia, scuola, etc…) in cui l’adolescente vive.
Un modello secondo noi utile per andare in questa direzione, di matrice psicodinamica e con riferimento alle neuroscienze, che integra un approccio dimensionale e categoriale alla patologia della personalità, è quello delle relazioni oggettuali nella linea clinica e di ricerca di Otto e Paulina Kernberg (O. Kernberg & Caligor, 2005; P. Kernberg, Weiner, Bardenstein, 2000), portato avanti dai colleghi che all’interno dell’ISTFP si occupano di clinica e ricerca in adolescenza (vedi l’ultimo lavoro di prossima pubblicazione in italiano sulla TFP-A; Normandin, Ensink, Weiner, & O. Kernberg, 2021). Questo modello teorico mette al centro della valutazione diagnostica e della cura dei disturbi di personalità negli adulti e negli adolescenti le relazioni oggettuali interiorizzate del paziente. In questo modello, già in adolescenza si può ravvisare la presenza di processi organizzativi dell’esperienza di Sé e degli altri significativi caratteristici di differenti pattern di personalità. Si distinguono quindi differenti processi organizzativi della personalità (nevrotica, borderline e psicotica) differenziati tra loro per dimensioni come: (1) l’identità, in particolare la distinzione tra crisi di identità, caratteristica degli adolescenti riconducibili ad un’organizzazione di personalità nevrotico-sana, e diffusione dell’identità, caratteristica degli adolescenti riconducibili ad un’organizzazione borderline di personalità; (2) la valutazione della qualità delle relazioni oggettuali, intese come la capacità di stabilire con gli altri legami intimi, reciproci, significativi e relativamente indipendenti; (3) la capacità di regolazione affettiva, intesa come la capacità di modulare, sperimentare e comunicare il proprio vissuto.
Inoltre, in questo modello clinico di assessment vanno considerati il funzionamento difensivo dell’adolescente, la strutturazione dei suoi valori morali (per la differenziazione tra aspetti francamente antisociali e comportamenti trasgressivi frutto più di una ribellione adolescenziale), l’esame di realtà (soprattutto per la valutazione della presenza di patologie dello spettro psicotico), l’osservazione diretta della relazione attuale con i caregivers (che a seconda dei casi può costituire un fattore di rischio o protettivo rispetto al disagio adolescenziale), la co-occorrenza di altri quadri psicopatologici e, infine, la storia personale dell’adolescente che può essere costellata di aspetti traumatici (Normandin, Ensink, Yeomans & O. Kernberg, 2014). Un modello di questo tipo è integrabile con le contemporanee formulazioni del caso clinico di matrice psicodinamica in adolescenza come il PDM-2 e l’OPD-2, nonché con i modelli dimensionali emergenti adottati dal DSM 5.
La consultazione con l’adolescente si caratterizza, quindi, per alcuni aspetti peculiari che la differenziano da quella degli adulti e ha tra le principali finalità quella di promuovere l’individuazione (Ruggiero, 2006), nonché quella di aiutare a riflettere e trovare un senso rispetto a ciò che sta accadendo dentro sè stessi e nella vita. In questa direzione, la valutazione diagnostica con l’adolescente e il suo contesto familiare assume quindi non solo una valenza conoscitiva ma anche un aspetto trasformativo (Aliprandi, Pelanda, Senise, 2004). Il clinico, infatti, sin dal primo incontro, può costruire insieme all’adolescente un quadro delle sue difficoltà e del modo con cui le ha fronteggiate, nonché un ritratto della sua personalità (Ruggiero, 2006). In questo, il processo di consultazione può, di per sé, aiutare l’adolescente a sviluppare capacità introspettive e, soprattutto, a riprendere un percorso evolutivo bloccato da conflittualità o affetti travolgenti e non mentalizzabili (Aliprandi, Pelanda, Senise, 2004; Novelletto, 2009; Lancini, 2021). In questa funzione di contenimento, assume un ruolo importante anche il lavoro con i genitori (K.K. Novick & J. Novick, 2011; Aliprandi, Pelanda, Senise, 2004). Riteniamo, in conclusione, che una valutazione della personalità ispirata a questi principi e radicata nelle dimensioni sopra descritte possa contribuire ad una tempestiva individuazione del disagio adolescenziale, evitare quei processi di labeling diagnostico che possono influenzare negativamente l’identità dell’adolescente, promuovere processi di mentalizzazione e focalizzare gli interventi terapeutici in modo da renderli ancor più mirati e verificabili (vedi Normandin, Ensink, Weiner, & O. Kernberg, 2021).
Dott. Andrea Fontana