Utilizzo dei principi della TFP nella psicofarmacoterapia dei DP
La TFP nasce come trattamento psicoterapico psicodinamico a lungo termine di derivazione psicoanalitica basato sulla teoria delle relazioni oggettuali, specificatamente adattato per pazienti con DBP. Col tempo l’orientamento teorico, i principi e le tecniche della TFP sono stati estesi ad altri campi di applicazione, consentendo il loro utilizzo anche a quei clinici che non hanno familiarità con il linguaggio ed il modello psicoanalitico. La TFP-applied, seppur in continua evoluzione, trova ora applicazione in numerosi setting: trattamento psicoterapico dei pazienti con DNP e con Disturbi di Personalità di alto livello (la cosidetta TFP-Extended), integrazione di elementi della TFP in altri modelli psicoterapici per il disturbo di personalità, utilizzo dei principi della TFP nella gestione di pazienti ospedalizzati, nella gestione critica in ambito medico generalista, nel lavoro con le famiglie di pazienti con disturbo di personalità. Non da ultimo, il modello TFP può fornire supporto nella psicofarmacoterapia, anche per quei prescrittori che non praticano psicoterapia.
Il trattamento farmacologico dei disturbi di personalità e dei disturbi di ex-Asse I in comorbilità coi disturbi di personalità rappresenta per i clinici una grossa sfida, alla luce dei dati di efficacia che appaiono limitati e comunque non di significato univoco. Nessuna categoria di farmaci psicotropi è approvata dall’Aifa per il trattamento dei disturbi di personalità e la maggior parte degli studi (quasi tutti a breve termine) sul trattamento farmacologico del DBP indicano una limitata efficacia, se non nulla, nella remissione dei sintomi. Anche le più autorevoli linee guida (Cochrane e NICE) confermano la scarsa efficacia ed in alcuni casi sconsigliano l’utilizzo di trattamenti farmacologici.
Nonostante ciò, nella pratica clinica i pazienti con disturbo di personalità sono trattati spesso con polifarmacoterapia, con i conseguenti rischi clinici che non sono bilanciati dall’efficacia nella gestione dei sintomi. Sono diverse le ragioni che spiegano questa realtà:
- La sofferenza psichica dei pazienti spesso costringe i clinici a prescrizioni multiple e in condizioni di emergenza, con frequenti stratificazioni delle prescrizioni o continue modifiche del trattamento
- Alcuni clinici, pur consapevoli della natura del disturbo, preferiscono focalizzarsi sul trattamento farmacologico delle principali dimensioni sintomatologiche (instabilità dell’umore, sintomi ansiosi, disturbi del comportamento alimentare o abuso di sostanze) e possono essere riluttanti ad informare il paziente sulla natura del disturbo e sui reali benefici dei farmaci
- I comportamenti e le minacce suicidari e parasuicidari dei pazienti con grave disturbo di personalità possono indurre nei clinici elevati livelli di ansietà oltre che porre questioni di natura medico-legale, favorendo in questo modo la prescrizione di farmaci
- Spesso il trattamento dei pazienti avviene in contesti di emergenza o con un elevato turnover del personale e i clinici possono finire col prescrivere farmaci per pazienti che non conoscono o conoscono poco
- Le stesse dinamiche transferali del paziente e la conseguente risposta controtransferale possono condurre il clinico ad un enactment controtrasferale attraverso la prescrizione inappropriata di farmaci.
I principi della TFP forniscono un approccio sistematico ai clinici prescrittori, a cominciare dall’utilizzo dell’intervista strutturale, che consente al clinico di pensare al di là della diagnosi categoriale, esplorando le strutture psichiche che sottendono il funzionamento. Attraverso l’ascolto delle problematiche riportate dal paziente, delle sue manifestazioni non verbali e dell’esperienza che il clinico fa del paziente, l’intervista strutturale permette di identificare i sintomi del disturbo di personalità ed allo stesso tempo le eventuali comorbilità psichiatriche. Peraltro, definendo durante la valutazione il livello di organizzazione di personalità, il clinico può arrivare a cogliere aspetti subsindromici o varianti di disturbi di personalità, che non sono contemplati nella diagnosi categoriale del DSM-5 (p.e. Disturbo Narcisistico “a pelle sottile”). In questa maniera il clinico inizia ad avere un’idea più chiara di quali sintomi siano più efficacemente trattati dal farmaco, di quali verosimilmente non lo saranno e di cosa attendersi in merito all’efficacia del trattamento dei disturbi psichiatrici in comorbilità al disturbo di personalità. Durante la valutazione inoltre, attraverso un’indagine approfondita con l’utilizzo di chiarificazione e confrontazione, possono iniziare ed esplicitarsi diadi di relazioni oggettuali, che permettono al clinico di aprire precocemente una finestra nel mondo interno del paziente.
Attraverso le informazioni ottenute dall’esplorazione con il paziente, il clinico procede ad una franca discussione con lo stesso circa le impressioni cliniche, introducendo elementi di psicoeducazione sul significato del disturbo e del funzionamento di personalità, sule reali aspettative del trattamento farmacologico, sulla centralità del trattamento psicoterapico e sull’esistenza di alcuni trattamenti psicoterapici evidence-based efficaci. L’informazione sulla natura del disturbo può essere trasmessa usando la terminologia del DSM-5, addirittura commentando insieme al paziente i criteri diagnostici; oppure i clinici possono utilizzare un linguaggio focalizzato maggiormente sul significato del funzionamento, sull’identità e la possibile sindrome di dispersione dell’identità, sulle fluttuazioni dell’autostima, sulle risorse empatiche e sulle dinamiche correlate all’intimità. Dall’esperienza clinica emerge infatti che molti pazienti, e le loro famiglie, non sono consapevoli del loro disturbo e possono sembrare confusi rispetto al fatto che il trattamento psicofarmacologico non produca i risultati attesi sulla stabilizzazione dell’umore, sui sintomi ansiosi o sui sintomi di altre diagnosi precedentemente comunicate. I pazienti e i loro familiari possono essere sollevati da queste comunicazioni, dopo aver trascorso magari anni a pensare al disturbo come una qualche patologia resistente al trattamento. Inoltre, la comunicazione condivisa aiuta il clinico a mantenersi in una posizione più onesta e a proteggersi attraverso un’efficace gestione del rischio clinico.
Dopo aver condiviso le informazioni, i clinici dovrebbero stabilire una cornice al trattamento che offra sicurezza tanto al paziente quanto al clinico. Così come avviene all’avvio del processo psicoterapico, il clinico prescrittore è consapevole del fatto che i pazienti con Disturbo di Personalità presenteranno complicazioni durante il trattamento, dovute all’attivazione di sottostanti diadi di relazioni oggettuali attivate sia nelle dinamiche transferali che extratransferali. Tali attivazioni possono comportare l’esacerbazione dei sintomi del disturbo di personalità (disonestà, non aderenza, atti di violenza) o comportamenti pericolosi (frequenti ospedalizzazioni, uso acuto di alcool e sostanze, eccessiva perdita di peso), che comprometterebbero la capacità del paziente di partecipare alla terapia. Il clinico pertanto deve apertamente discutere queste questioni all’inizio del trattamento farmacologico, per essere pronto a gestirle quando si verificheranno all’interno di una cornice sicura. Il clinico deve anche essere molto esplicito in merito ai limiti di efficacia dei trattamenti farmacologici e deve preparare il paziente e le famiglie a risultati spesso assenti o quantomeno ambigui. Inoltre, il clinico deve esser consapevole della possibilità di attivazioni controtransferali che potrebbero condurlo ad eccessi di prescrizione o ad insolite combinazioni di farmaci, diversamente da quanto succede di solito.
Per il clinico è necessaria una chiara informazione al paziente circa il ruolo accessorio della terapia farmacologica nel trattamento. In caso contrario il paziente potrebbe credere che i farmaci da soli possano trattare i sintomi del disturbo di personalità. Per questo motivo, il clinico si focalizza sugli obiettivi e sui realistici risultati del trattamento farmacologico ogni volta che una nuova molecola viene introdotta, specificando al paziente che i farmaci potranno alleviare alcuni sintomi ma non altri. La maggior parte dei pazienti con disturbo di personalità spesso richiede il trattamento farmacologico durante momenti di crisi e i clinici potrebbero controtransferalmente sentire l’urgenza di rispondere al bisogno pur consapevoli della scarsa o nulla risposta attesa. In questi casi diventa necessario anticipare al paziente che tali situazioni potrebbero prospettarsi e che la prescrizione di farmaci aggiuntivi potrebbe non essere scontata o che eventuali nuove prescrizioni saranno sospese se non forniranno risultati o se i momenti critici saranno risolti. Il paziente infatti potrebbe aderire ad un trattamento farmacologico passivamente, nell’idea che i soli farmaci possano curare i loro problemi: è invece necessario promuovere nel paziente una partecipazione responsabile alla cura.
La TFP pone il focus sulle difese del paziente basate sulla scissione e predice la possibilità di comportamenti scissi nel caso di trattamenti integrati tra clinico prescrittore e terapeuta. E’ noto che i pazienti con struttura borderline di personalità si aspettano un perfetto livello di presa in carico e che ogni deviazione da questo viene interpretata come rifiuto o abbandono. Per esempio, un paziente inviato da un terapeuta ad uno psichiatra per un consulto potrebbe avere un’esperienza totalmente negativa del prescrittore e questo potrebbe indurre il terapeuta a colludere con l’atteggiamento svalutante o rifiutante del paziente sull’opzione farmacologica. Oppure un prescrittore potrebbe svalutare i tentativi del terapeuta di mantenere una cornice al trattamento, colludendo con l’esperienza del paziente di un terapeuta insensibile e punitivo, rigidamente legato alla cornice. Per questo un clinico dovrebbe contemplare di non accettare l’avvio di un trattamento se il paziente si oppone alla necessità di confrontarsi apertamente col terapeuta. Nel caso in cui il paziente si interfacciasse con clinici di altri setting (p.e. pronto soccorsi, DH, ambulatori), il clinico può prevedere anche in questo caso la possibilità di comportamenti basati sulla scissione: la loro prevedibilità permette di evitare potenziali conflitti tra i clinici.
dott. Cazzolla
Bibliografia:
- Richard G. Hersh, Eve Caligor, Frank E. Yeomans, Fundamentals of Transference-Focused Psychotherapy. Application in Psychiatric and Medical Settings. 2016
- Richard G. Hersh, Applied Transference-focused Psychotherapy: an owerview and update, Psychodynamic Psychiatry, 49(2), 273-295, 2021
- Richard G. Hersh, Using Transference-Focused Psychotherapy Principles in the Pharmacotherapy of Patients with Severe Personality Disorders , Psychodynamic Psychiatry, 43(2) 181–200, 2015
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