Il Super-io e il disturbo antisociale di personalità: un Super-io da riscrivere
Alla base della genesi dell’aggressività si rintracciano numerosi fattori, tra questi la qualità del Super-io e la capacità di regolazione interna. Responsabili della formazione del Super-io sono necessariamente le esperienze evolutive precoci; una relazione genitore-figlio alterata rispetto alla punizione o all’incoraggiamento di talune condotte rende deficitaria anche la sua interiorizzazione, quindi lo sviluppo di un Super-io solido. Nella genesi del disturbo antisociale, o di aspetti antisociali del carattere, si rintracciano l’incapacità del bambino di passare dal principio di piacere al principio al principio di realtà (Aichorn, 1925), così anche l’eccessiva presenza di gratificazioni o frustrazioni nella relazione genitore-figlio. Il Super-io dell’antisociale talvolta si manifesta nel tentativo di esercitare un controllo assoluto, sebbene distorto da un senso morale paradossale, oppure risulta isolato ed inutilizzabile (Greenacre, 1945), o isolato nella relazione con l’Io (Reich, 1933), non riuscendo a dialogare con esso in modo modulato e flessibile. L’Io appare quindi sotto il controllo del principio di piacere ed il Super-io risulta deficitario (Friedlander, 1945). Un elemento che predispone la strutturazione della personalità antisociale è, non tanto la presenza di eccessive gratificazioni e frustrazioni genitoriali atte ad approvare o sanzionare il comportamento del figlio, ma anche l’istintualità e la casualità con cui queste sono espresse: non è possibile per il bambino ricollegare a comportamenti giusti o sbagliati le risposte parentali in quanto queste vengono erogate in modo istintuale, impedendo l’apprendimento chiaro e comprensibile di regole e valori condivisi, alimentando ostilità e deformando l’interiorizzazione del senso morale. Con il concetto di lacune del Super-io, Jhonson (1949, 1952) fece riferimento, non solo ad un deficit del Super-io che caratterizza la personalità antisociale, ma anche alla creazione di zone lacunose del Super-io ad opera di un atteggiamento genitoriale inconscio immotivatamente permissivo che, in luogo di una sana preoccupazione davanti a comportamenti devianti del figlio, sperimenta una sorta di orgoglio per il coraggio o la forza espressa dal figlio (Gabbard, 2007). Kernberg arrivò a concettualizzare il disturbo antisociale, come sinonimo di quello psicopatico, come espressione del livello più grave dell’organizzazione borderline di personalità. La predisposizione biologica ad un’aggressività eccessiva, gravata da esperienze precoci di selvaggia aggressività (Kernberg, 1992), l’esposizione a circostanze traumatiche osservate o subìte, l’inaffidabilità delle relazioni parentali precoci, struttura lo sviluppo di un Super-io che può assumere il controllo, nei casi di soggetti dal temperamento più freddo e vendicativo, o divenire inefficace determinando comportamento irresponsabile ed esplosività. Kernberg concepisce il disturbo antisociale come una declinazione dell’organizzazione borderline nel suo versante narcisistico (Kernberg, 2009), come prodotto di un amore rivolto a sé in senso patologico secondario all’impossibilità di dipendere da figure parentali positive. In queste condizioni le rappresentazioni oggettuali, caratterizzate da manipolazione, danno luogo a relazioni mosse da invidia e avidità; predomina uno stato interno di vuoto ed un Super-io in cui il sentimento di vergogna sostituisce l’esperienza di colpa. L’assenza reale di precursori positivi ed amorevoli non concede rappresentazioni genitoriali idealizzate: la reale presenza, invece, di precursori sadici non può essere mitigata e neutralizzata da rappresentazioni oggettuali idealizzate in quanto quelle reali non sono realisticamente idealizzabili. Queste precondizioni determinano il deterioramento del Super-io e l’affermazione del Sé grandioso patologico.
Il paziente antisociale conosce il significato giuridico delle azioni che ha commesso ma il significato morale, la capacità di provare pentimento per i comportamenti agiti è sostanzialmente alterata da un Super-io danneggiato. Il lavoro ospedaliero con pazienti con disturbo antisociale, nell’ambito dell’esecuzione delle misure di sicurezza, pone davanti primariamente a due manifestazioni osservabili: il ricorso a meccanismi difensivi di scissione e proiezione, quindi le repentine inversioni di ruoli che questi determinano, e l’incapacità di rinunciare all’onnipotenza infantile.
Nelle manifestazioni quasi deliranti la comprensione morale è impedita da un rovesciamento del sistema di valori, e degli attori, tale per cui il soggetto si sente portatore di valori assoluti, quanto paradossali, da dover difendere e vendicare in un mondo popolato da cattivi. Una diversa manifestazione del disturbo antisociale, forse più prognosticamente incoraggiante, si rintraccia in soggetti mossi dalla speranza di un oggetto finalmente positivo che diviene improvvisamente deludente davanti ad un’inevitabile frustrazione causando reazioni violente ed esplosive, ancora una volta vissute come legittimi tentativi di protezione dal dolore della disillusione.
Comune e trasversale a tutte le manifestazioni del disturbo, che sia esso organizzato a livello borderline o psicotico, nel paziente antisociale internato (1) si osserva una caratteristica collettiva nell’incapacità di rinunciare all’onnipotenza infantile. La richiestività espressa, la passività dello stile di vita, l’oralità delle abitudini, l’incapacità di attendere e contenere bisogni irrimandabili, si impone nella relazione con le figure di cura. Questi pazienti vivono in un eterno presente, non hanno il senso del tempo e del futuro, non riescono ad anticipare le conseguenze a lungo termine delle azioni che compiono, dimostrando di privilegiare scopi immediati e gratificanti a obiettivi anche opportunistici a lungo termine; per queste caratteristiche falliscono ripetutamente i progetti riabilitativi e la messa alla prova. I tentativi terapeutici di rimandare o condizionare le continue richieste espresse, così come di rompere l’inerzia con l’attività finalizzata, sono vissuti come sadici tentativi di controllo o ingiuste imposizioni che deludono la speranza di una relazione totalmente gratificante. Il paziente antisociale, a fronte dell’assetto difensivo prevalentemente rappresentato da meccanismi di scissione e proiezione, reagisce ai percepiti tentativi di controllo da parte delle figure di cura che godono sadicamente della frustrazione dei suoi bisogni o tentano di sfruttarlo. Il comportamento antisociale (aggressività contro persone o oggetti, menzogna, furto, parassitismo), qui agito nella relazione di cura, è ego-sintonico in quanto supportato dal sistema etico alterato di un Super-io talvolta alterato o deficitario. Ciò che si trasforma è la qualità dell’azione, a partire dalla “temperatura” che caratterizza il tipo di transfert: l’azione psicopatica fredda di un paziente che registrava i colloqui con i curanti per ricattarli o di un altro che trascorreva il tempo ad aizzare la vulnerabilità dei pazienti più impulsivi sembra sottendere un transfert paranoide; diversamente l’azione esplosiva e deflagrante del paziente che violentemente esprime la delusione di un oggetto idealizzato che sperava totalmente gratificante, sembra richiamare invece un transfert narcisistico.
dott.ssa Silvia Brendolan
Bibliografia:
- Aggressività, disturbi della personalità e perversioni. Kernberg O., 1993. Raffaello Cortina Editore, Milano
- Narcisismo, aggressività e autodistruttività. Kernberg O. F., 2006. Raffaello Cortina Editore, Milano. Devianza e antisocialità. Dazzi S., Madeddu F., 2009. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Note:
1-Internamento in un contesto privativo della libertà personale (misure di sicurezza)
Immagine: Getty/Hitesh sonar for the swaddle