Disturbo antisociale e narcisistico di personalità
Dal libro “Aggressività, disturbi della personalità e perversioni” di Otto F. Kernberg, ed. Cortina Raffaello, 1993
In questo capitolo l’attenzione è rivolta alla stretta relazione tra il disturbo narcisistico di personalità e quello antisociale. In sostanza, propongo che a tutti i pazienti con un disturbo antisociale di personalità vengano riconsciute caratteristiche tipiche del disturbo narcisistico di personalità più una specifica patologia dei sintomi etici interiorizzati (funzioni del Super-io) e un particolare deterioramento del mondo di relazioni oggettuali interiorizzate. Unica eccezione significativa a questa norma è la sindrome, di prognosi clinica grave e relativamente poco frequente, di “schizofrenia pseudo-psicotica”, che si riscontra in particolare in pazienti schizofrenici cronici con miglioramento periodico (siano o non siano essi in trattamento) e, durante tali periodi di “trattamento”, con comportamento antisociale che scompare quando il paziente ritorna a essere nuovamente psicotico. Vi è, inoltre, un gruppo di pazienti che si colloca tra il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale di personalità; esso è caratterizzato da ciò che io denomino sindrome di narcisismo maligno (1984). Tale sindrome è definita dalla combinazione di: 1) un disturbo narcisistico di personalità; 2) un comportamento antisociale; 3) aggressività egosintonica o sadismo rivolto verso gli altri o espresso mediante un particolare tipo di automutilazione trionfante o tentativi di suicidio; 4) un forte orientamento paranoide.
Descrivo in tal modo una dimensione di comportamento antisociale che collega il disturbo narcisistico di personalità con il disturbo antisociale di personalità e il narcisismo maligno. Tale caratteristica dimensionale che collega i tre disturbi è simile ad altre connessioni dimensionali che connettono tra loro altri disturbi di personalità, quali il rapporto tra disturbo schizoide di personalità e disturbo schizotipico di personalità, tra disturbo isterico di personalità e disturbo istrionico (o isteroide i infantile) e borderline (Kernberg, 1984; cap. IV del presente volume).
Il mio interesse per il disturbo antisociale di personalità deriva dalle lacune che ho rilevato nella descrizione che ne dà il DSM-III-R (American Psychiatric Association, 1987). I criteri del manuale sono senza dubbio abbastanza ampi da includere tutti i disturbi antisociali di personalità che presentano prevalentemente modelli d’interazione aggressivi e comportamento criminale. Il DSM-III-R, nel porre l’accento sui precedenti che risalgono all’infanzia, orienta correttamente il clinico verso le origini infantili di questa patologia del carattere. Purtroppo, tuttavia, nel porre l’accento sull’aspetto criminale, esso include delinquenti con struttura di personalità eterogenea e rende confusa la distinzione fra fattori economici e socioculturali della delinquenza, da una parte, e psicopatologia della personalità dall’altra. I criteri del DSM contribuiscono, pertanto, a ciò che Rutter e Giller (1983) hanno descritto come uniformazione indiscriminata del comportamento delinquente, che essi ritengono sia di ostacolo al tentativo di rintracciare i fattori predisponenti per i casi che presentano un disturbo specifico di personalità. I criteri del DSM-III-R trascurano anche il tipo non aggressivo passivo del disturbo antisociale di personalità, nel quale predominano comportamenti cronicamente parassitari o di sfruttamento più che quelli aggressivi. Ma ciò che più sconcerta nella descrizione che il DSM-III-R dà del disturbo antisociale di personalità è l’assenza di una adeguata considerazione dei tratti di personalità, in alternativa alla rilevazione dei comportamenti antisociali; critica, questa, che Millon (1981) ha formulato validamente dieci anni fa. La diagnosi di personalità antisociale è ulteriormente complicata dalle vicissitudine della terminologia utilizzata. Il DSM-I (American Psychiatric Association, 1952) passava dal tradizionale termine di personalità sociopatica, che sottolinea gli aspetti di disadattamento sociale di questi pazienti e l’interazione tra personalità e determinanti sociali, a perturbazione (disturbance) sociopatica di personalità. Esso differenziava anche la reazione antisociale, in riferimento allo psicopatico qual è tradizionalmente definito nei testi di lingua inglese (Henderson, 1939), dalla reazione asociale, riferita a pazienti che non rispettano i codici sociali, crescono in un ambiente sociale anormale ma sono ancora in grado di mostrare forti valori personali.
The Mask of Sanity di Cleckley (1° ed. 1941; 4° ed. 1964) rimane, a mio avviso, il testo base che descrive ciò che oggi noi chiamiamo il disturbo antisociale di personalità. Nello sforzo di circoscrivere la diagnosi di psicopatia, il DSM-II (American Psychiatric Association, 1968, p.43) cambiava la terminologia, adottando l’espressione personalità antisociale, e proponeva una definizione condensata che, in sostanza, derivava dall’opera di Henderson (1939) e Cleckley (1941):
Questo termine si applica a individui fondamentalmente non integri nella società e i cui modelli di comportamento li pongono continuamente in conflitto con essa. Tali persone sono incapaci di autentica lealtà verso persone, gruppi o valori sociali. Sono molto egoisti, insensibili, irresponsabili, impulsivi e incapaci di provare colpa o di imparare dall’esperienza e dalla punizione. Tollerano poco la frustrazione. Tendono a biasimare gli altri e a razionalizzare il proprio comportamento. Il semplice resoconto di ripetuti reati contro la legge o contro la società non è sufficiente a giustificare questa diagnosi.
Dal punto di vista clinico, questa definizione è importante e significativa; ancorchè breve, essa include riferimenti alle caratteristiche narcisistiche della personalità di questi pazienti. In seguito il DSM-III (American Psychiatric Association, 1980) manteneva la definizione personalità antisociale, aggiungendovi il termine “disturbo”, ma nel contempo indirizzava verso un concetto più ampio di comportamento orientato in senso criminale. Di questo approccio era responsabile la ricerca epidemiologica compiuta da O’Neal e collaboratori (1962), da Guze (1964°, b), e in particolare da Robins (1966).
Io credo che la psicoanalisi abbia contribuito, da un lato, a confondere i problemi diagnostici e, dall’altro, a chiarire le caratteristiche strutturali della personalità antisociale. Alexander (1930; Alexander, Healy, 1935) ha sviluppato il concetto di “carattere nevrotico” riferendosi ad una spiccata patologia del carattere, nella quale egli include quella con lineamenti antisociali; offuscava così, implicitamente, la distinzione tra il vero e proprio disturbo antisociale di personalità e gli altri disturbi di personalità. Eissler (1950), nell’utilizzare il termine difese alloplastiche in antitesi a difese autoplastiche contribuiva anche a un approccio indifferenziato alla patologia del carattere che confondeva la diagnosi differenziale della personalità antisociale. Il rilievo assunto nella letteratura psicoanalitica degli anno ’40 e ’50 dalla descrizione di Freud (1916) di “delinquenti per [un inconscio] senso di colpa” ha portato ad interpretare il comportamento antisociale ( ingenuamente, mi sembra ora) come formazione reattiva contro una colpa inconscia anziché come espressione di deficit nello sviluppo del Super-io.
Soltanto con la descrizione delle lacune del Super-io formulata da Johnson e Szurek (Johnson, 1949; Johnson, Szurek, 1952) il pensiero psicoanalitico cominciò a prestare più attenzione agli aspetti strutturali che non a quelli dinamici delle personalità antisociali. La formulazione di Johnson e Szurek, relativamente semplice, fu presto superata dalla descrizione più sofisticata di una marcata patologia del Super-Io correlata alla personalità narcisistica: ciò avvenne a opera di Rosenfeld (1964) e della Jacobson (1964, 1971b), i cui lavori hanno influenzato il mio stesso modo di vedere le cose. Rutter e Giller, in Juvenile Delinquency: Trends and Perspectives (1983), riesaminiamo a fondo gli studi epidemiologici sulla connessione tra comportamento delinquenziale giovanile e funzionamento della personalità anormale, nel processo che rivaluta la nostra conoscenza attuale sull’eziologia di queste condizioni. Nel corso dell’ancor vivo dibattito relativo ai fattori biologici, psicologici e sociologici che influenzano lo sviluppo del comportamento antisociale, essi dimostrano che vi è una relazione evidente tra costellazioni specifiche del primo sviluppo infantile nella famiglia, e il successivo livello di adattamento sociale dell’individuo, ma sostengono che i meccanismi mediante i quali i fattori familiari si connettono con la delinquenza sono ancora incerti. Dimostrano, inoltre, che vi è rapporto tra il cambiamento sociale e l’aumento della delinquenza, ma di nuovo sottolineano la mancanza di conoscenze attendibili riguardo ai meccanismi corrispondenti. Concludono che nella delinquenza giovanile sembrano essere attive cause molteplici; tra esse, l’influenza del gruppo, il controllo sociale e l’apprendimento sociale, i fattori biologici che influenzano tipi estremi di comportamento antisociale e fattori situazionali. A loro parere, è assurdo cercare una singola spiegazione per la delinquenza giovanile; in particolare, non esiste ancora una chiara strategia di prevenzione.
Lo studio delle Lewis e collaboratori (1985) sulle vicende della primissima infanzia di bambini che più tardi commettono un omicidio, mette in evidenza la prevalenza di sintomi psicotici, un importante deterioramento neurologico, parenti di primo grado psicotici, la prova di violenze subite durante l’infanzia e grave abuso fisico; fattori psicosociali e biologici, tutti di grande rilevanza. Dicks (1972) ha esplorato il background e lo sviluppo della personalità di una serie di SS tedeschi, assassini di massa, prima e dopo la loro attività nei campi di concentramento. Egli fornisce una prova lampante del fatto che questi criminali, pur affetti da gravi disturbi di personalità con prevalenza di caratteristiche antisociali, paranoidi e narcisistiche fin dalla prima infanzia, avevano assunto un comportamento criminale estremo solo quando l’addestramento nelle SS e i campi di sterminio avevano fornito loro facilitazioni sociali come premio di tale comportamento; essi erano poi ritornati al precedente funzionamento di personalità, non criminale, durante e dopo il periodo di reclusione. Ciò dimostra quanto sia importante uno studio empirico degli elementi che facilitano la criminalità sociale. (Ovviamente tale studio deve prendere in considerazione anche la tendenza al burn-out dei delinquenti di media età.)
Il comportamento antisociale dovrebbe essere idealmente definito nei termini del suo significato psicologico più che in termini legali o comportamentali. Facciamo un esempio: “ fuga da casa con una notte fuori per lo meno due volte mentre [si vive] nella casa dei genitori oppure nella casa di genitori adottivi o simili (o una volta senza ritornare)” – uno dei criteri del DSM-III-R per descrivere il disturbo antisociale di personalità – è una frase puramente descrittiva che non considera se il bambino è scappato da una casa impossibile, con genitori che abusavano fisicamente di lui, oppure da ambiente familiare solidamente costruito. Ancora: “non ha mai mantenuto una relazione veramente monogama per più di un anno” – altro criterio del DSM-III-R – si applica a molti tardo-adolescenti e giovani adulti il cui comportamento nei rapporti con l’altro sesso può essere influenzato da tutta una serie di inibizioni nevrotiche, da modelli culturalmente determinati, e da quasi tutti i disturbi di personalità. La promiscuità sessuale ha diversi significati, che dipendono dall’ambiente sociale e dalla struttura della personalità nella quale si manifesta. Usando come criterio la promiscuità, di nuovo si sposta l’attenzione diagnostica verso il comportamento anziché mettere a fuoco ciò che induce a tale comportamento.
PROPOSTA DI UN QUADRO DI RIFERIMENTO
Ho osservato che, senza considerare il grado di comportamento delinquente, o anche in assenza di esso, da una prospettiva clinica la prima indicazione dell’esistenza possibile di un disturbo antisociale di personalità, è la presenza di un disturbo narcisistico di personalità. Di fatto, il profilo clinico della personalità antisociale descritta da Cleckley rientra chiaramente in tre categorie: 1) presenza di talune caratteristiche di base che differenziano la personalità antisociale dalla psicosi e dalle sindromi organiche: “assenza di deliri e altri segni di pensiero irrazionale” e “comportamento antisociale inadeguatamente motivato” ( il sintomo dominante immediato); 2) una serie di caratteristiche presenti nella grave patologia narcisistica del carattere: “vita sessuale impersonale, frivola e scarsamente impegnata”, “apatia nelle relazioni interpersonali generali”, “povertà generale nelle principali reazioni affettive”, “egocentrismo patologico e incapacità di amare”; 3) ciò che riconduce alle manifestazioni di profonda patologia del Super-io: “inattendibilità”, “inganno e insincerità”, “mancanza di rimorso o vergogna”, “povertà di giudizio e incapacità di apprendere dall’esperienza” e “incapacità di seguire un progetto di vita”.
Trovo discutibili solo quattro dei profili clinici di Cleckley; “assenza di ‘nervosismo’ o di manifestazioni psiconevrotiche”, “comportamento eccentrico e scostante con o senza consumo di alcolici”, “tendenza al suicidio raramente messa in atto” e “fascino superficiale e buona intelligenza”. Molte personalità antisociali presentano sintomi psiconevrotici; in questi pazienti si osservano casi di suicidio impulsivo così come nei pazienti con sindrome di narcisismo maligno, e il “comportamento eccentrico e scostante con o senza consumo di alcolici” mi sembra troppo poco specifico. Molti pazienti affetti da disturbo antisociale di personalità, in particolare all’interno della popolazione criminale, sono privi di fascino superficiale e il disturbo si trova a tutti i livelli di intelligenza. Ma un comportamento antisociale connesso a un disturbo narcisistico di personalità non è un fondamento sufficiente per la diagnosi di disturbo antisociale di personalità.
Come già ho detto, esiste un gruppo intermedio tra il disturbo narcisistico di personalità e quello antisociale di personalità: il narcisismo maligno. Il comportamento antisociale può anche emergere nel contesto di altri disturbi di personalità; la diagnosi differenziale diventa altamente rilevante nel valutare questo sintomo, perché ha un’importanza sia prognostica sia terapeutica. Il comportamento antisociale in una struttura di personalità non narcisistica ha una prognosi favorevole, in antitesi con quella estremamente infausta del comportamento antisociale nella personalità antisociale vera e propria.
Il comportamento antisociale può essere anche la conseguenza di un adattamento normale o patologico a un ambiente sociale gravemente patologico, quale la “cultura della ‘gang’”; sebbene questa sia una condizione clinicamente non frequente, la “reazione asociale” del DSM-I conteneva un utile richiamo a questo gruppo di pazienti. Talvolta il comportamento antisociale può essere l’equivalente di un sintomo nevrotico: la ribellione nevrotica degli adolescenti, per esempio, può diventare comportamento antisociale.
Sarebbe opportuno esaminare tale comportamento alla luce del livello generale di organizzazione delle funzioni superegoiche del paziente; il che ci porta a riesaminare la questione del “delinquente per senso inconscio di colpa”. Il comportamento antisociale che nasce da un sentimento inconscio di colpa e dalla conseguente ricerca inconscia di punizione, deve essere differenziato dalla maggior parte dei casi nei quali l’autodistruttività e l’autopunizione sono una conseguenza del comportamento antisociale ma non riflettono tale motivazione inconscia. Di fatto, l’ipotesi psicoanalitica di un inconscio senso di colpa può dimostrarsi valida solo se la colpa diventa conscia in seguito all’esplorazione psicoanalitica. In che non si verifica, nella maggior parte dei casi, in una psicoterapia psicoanalitica intensiva a lungo termine con pazienti che presentano un grave comportamento antisociale. Inoltre, in ambito puramente teorico, date tutte le altre prove di estremo deterioramento o di inaffidabilità delle funzioni di base del Super-io nella maggior parte dei pazienti con comportamento antisociale, l’asserzione che essi si comportano così a causa di un senso di colpa inconscio è molto discutibile.
Nella pratica clinica vi sono pazienti con organizzazione nevrotica di personalità (in antitesi con l’organizzazione borderline di personalità) che talvolta presentano un comportamento antisociale inconsciamente mirato all’autopunizione o a ottenere punizioni dall’esterno. Il tipo di disturbo di personalità dominante (isterico, ossessivo-compulsivo, depressivo-masochistico) evidenzia questa eziologia piuttosto infrequente. A tal proposito un sintomo relativamente raro, la pseudologia fantastica, dovrebbe essere esaminato alla luce anche del disturbo di personalità all’interno del quale si presenta. La pseudologia fantastica si osserva in personalità isteroidi, istrioniche, o infantili; in tal caso la prognosi è meno infausta che in altri casi cronici o, per la stessa pseudologia fantastica, nei disturbi di personalità antisociale e narcisistica. Ancora una volta è fondamentale esaminare accuratamente la patologia dominante del carattere nella diagnosi differenziale del comportamento antisociale.
Un problema che spesso complica la diagnosi differenziale di questo comportamento è la presenza di alcolismo e/o abuso di droghe e relativi sintomi secondari.
Un’altra psicopatologia connessa e spesso intrecciata in modo complesso è quella in cui il comportamento antisociale si coniuga con una perversione ben strutturata o con una deviazione sessuale, “parafilia”, secondo la terminologia del DSM III R. Ai fini pratici, il problema principale che si presenta è il seguente: in che misura l’aggressività egosintonica è incorporata dentro il modello sessuale deviante; più la struttura della personalità si sposta da quella narcisistica a quella antisociale, più tale comportamento aggressivo può diventare pericoloso per la vita, e un sottogruppo di personalità antisociali aggressive può indirizzare il comportamento criminale verso le aggressioni sessuali e l’assassinio (cap. XV, XVII).
CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Ciò che segue è una classificazione dei disturbi di personalità in cui sono rilevanti le caratteristiche antisociali, a seconda della gravità. In tutti i pazienti che presentano un comportamento antisociale è utile, in un primo tempo, scartare la diagnosi di personalità antisociale vera e propria. Per questa ragione, ho sistematicamente indagato la potenziale presenza di comportamento antisociale in tutti i pazienti con disturbo narcisistico di personalità.
Disturbo antisociale di personalità
Questi pazienti presentano in modo tipico un disturbo narcisistico di personalità. I sintomi tipici della personalità narcisistica nell’area dell’amore rivolto a sé in senso patologico consistono in un eccessivo autoriferimento ed egocentrismo, nella grandiosità e nelle caratteristiche derivate di esibizionismo, in un atteggiamento si superiorità, non curanza e ambizione esagerata, in una dipendenza esagerata dall’ammirazione, nella superficialità emotiva e in improvvisi attacchi di eccessiva insicurezza alternati a grandiosità. Nell’ambito delle relazioni oggettuali patologiche, i sintomi predominanti in questi pazienti sono un’invidia incontrollata (conscia o inconscia); svalutazione degli altri quale difesa contro l’invidia; sfruttamento manifestato mediante l’avidità, appropriazione di idee o della proprietà altrui e tendenza all’autogiustificazione, incapacità di relazioni con gli altri nelle quali vi sia vera reciprocità e una notevole incapacità di empatia e disimpegno verso gli altri. Lo stato di base dell’Io di questi pazienti è caratterizzato da perenne senso di vuoto, da evidente incapacità di apprendere, da senso di isolamento, da fame di stimoli e da un diffuso senso di insignificanza nella vita.
Inoltre, questi pazienti narcisistici presentano un certo grado di patologia del Super-io che comprende l’incapacità di sperimentare tristezza per quanto concerne la propria persona, profondi sbalzi di umore, predominanza di vergogna in contrapposizione alla colpa nella regolazione intrapsichica del loro comportamento sociale, e un sistema di valori più infantile che adulto; essi, infatti, attribuiscono valore alla bellezza fisica, al potere, alla salute e all’ammirazione degli altri di contro al talento, al risultato raggiunto, alla responsabilità e al riferimento a un ideale.
Il disturbo antisociale di personalità vero e proprio presenta una patologia del Super-io anche più grave. Il comportamento antisociale di questi pazienti comprende menzogna, il furto, la contraffazione, la truffa e la prostituzione: tutti sintomi di tipo prevalentemente “passivo-parassitario”; aggressione, assassinio e furto a mano armata sono caratteristici del tipo “aggressivo” (Henderson, 1939; Henderson, Gillespie, 1969). In altre parole, si può differenziare clinicamente l’orientamento comportamentale sadico, aggressivo e, di solito, anche paranoide di alcuni pazienti con disturbo antisociale di personalità dal tipo passivo, sfruttatore parassitario di altri.
Va sottolineato che, in pazienti intelligenti, con un background culturale e socioeconomico favorevole, che presentano una patologia prevalentemente passivo-parassitaria del comportamento antisociale, gli antecedenti comportamenti dell’infanzia possono sembrare di scarsa entità e persino passare inosservati, specie in famiglie ad alta patologia, ma socialmente adattate. Un paziente, per esempio, era stato un alunno brillante alla scuola elementare, alla media e alle superiori; sembrava essere un bel giovane di successo dal punto di vista sociale. Il fatto che occasionalmente rubava era stato generosamente dimenticato dai genitori e la sua mancanza di senso di responsabilità era attribuita all’essere viziato e troppo protetto da una madre adorante e dai nonni. Aveva ottenuto la laurea, si era sposato con una donna con cui da più di quindici anni aveva una relazione coniugale apparentemente normale, e trattava bene i suoi bambini. Nel contempo sottraeva fondi ai soci e al bilancio familiare. Nonostante avesse grossi debiti, faceva costosi regali ad amici e soci, come se per tutto l’anno fosse una sorta di Babbo Natale, e solo quando fu incolpato e incarcerato per evasione fiscale, fu condotto in consultazione dai suoi familiari.
La differenza fondamentale tra i comportamenti antisociali, sia passivi che aggressivi, quale parte di un disturbo narcisistico di personalità e il vero e proprio disturbo antisociale di personalità, dipende dall’assenza, in quest’ultimo caso, della capacità di provare senso di colpa e rimorso. Pertanto, anche dopo che costoro sono stati messi di fronte alle conseguenze del loro comportamento antisociale e nonostante essi protestino il più profondo rammarico, non si instaura alcun cambiamento nel loro atteggiamento verso coloro che hanno colpito o sfruttato, né si osserva in loro alcun intendimento di cambiare, in seguito a questo scacco.
Anche se la diagnosi differenziale della capacità di sperimentare colpa e preoccupazione richiede, come ulteriore passo deduttivo, di valutare la reazione del paziente messo a confronto e posto dinnanzi al crollo della sua onnipotenza, nei colloqui possono risultare evidenti altre caratteristiche che riflettono questa sua incapacità. Per esempio, questi pazienti sono incapaci di immaginare una prerogativa etica negli altri. Il paziente, dopo aver ripetutamente asserito dinanzi al diagnosta che gli sta dicendo la pura verità ed essere poi stato smascherato come bugiardo, è probabile che reagisca debolmente. Ma quando gli si chiede di sintonizzarsi con la reazione del terapeuta nei suoi confronti, non può farlo; può solo avere la sensazione che il terapeuta sia adirato con lui perché lo ha fatto passare per stupido. Oppure, un paziente antisociale può “confessare” la sua colpa ma solo per quanto riguarda le azioni per le quali è stato colto in fallo, quindi in flagrante contraddizione con il rimorso contemporaneamente professato riguardo a tutto il suo comportamento passato. L’incapacità di investire in relazioni che fruttano gli altri può riflettersi in relazioni transitorie, superficiali, indifferenti, nell’incapacità di partecipare emozionalmente persino alle tenerezze e nell’assenza di qualsiasi valore morale interiorizzato, tanto meno di cogliere quei valori negli altri. Il deterioramento dell’esperienza affettiva di questi pazienti è espresso nella loro insofferenza per qualsiasi accrescimento di angoscia senza sviluppare sintomi addizionali o comportamenti patologici; nella loro incapacità di deprimersi provando un dolore che concerne la propria persona; nella loro impossibilità di innamorarsi e di provare tenerezza nelle loro relazioni sessuali.
Questi pazienti non hanno il senso del trascorrere del tempo, pianificazione del futuro, della contrapposizione tra l’esperienza e il comportamento attuali e quelli a cui si aspirerebbe idealmente; essi possono solo progettare di migliorare l’attuale situazione di disagio e di ridurre la tensione raggiungendo immediatamente obiettivi desiderati. L’impossibilità di apprendere dall’esperienza è un’espressione della loro stessa incapacità di concepire la vita oltre l’immediato presente. Il falsificare, il mentire patologico e la razionalizzazione inconsistenti sono ben noti. Paulina Kernberg (comunicazione personale) ha coniato il termine hologram man per riferirsi a pazienti che creano una vaga, eterea immagine di se stessi nelle sedute diagnostiche; immagine che sembra stranamente disgiunta dalla loro realtà presente o dal loro passato reale, e che cambia da un momento all’altro a seconda del luogo da cui muove l’indagine lasciando il diagnosta in preda a una sensazione fastidiosa di irrealtà.
Di nuovo, quando la diagnosi di struttura narcisistica di personalità è ovvia, il compito diagnostico primario è quello di valutare la gravità degli elementi antisociali, la storia passata, le origini infantili e la capacità residua del paziente di avere relazioni oggettuali, e il funzionamento del suo Super-io. L’assenza virtualmente totale di capacità relazionali oggettuali disinteressate e di qualsivoglia dimensione morale nel funzionamento della personalità, è l’elemento chiave nel differenziare la personalità antisociale vera e propria dalle sindromi meno gravi di narcisismo maligno e di disturbo narcisistico di personalità. Questa diagnosi si ottiene considerando l’anamnesi completa; esaminando attentamente il racconto del paziente e mettendo quest’ultimo delicatamente a confronto con le parti contraddittorie e oscure del suo racconto; valutando la sua interazione con il diagnosta e analizzando le sue reazioni quando è messo a confronto con le contraddizioni tra l’informazione oggettiva desunta dal passato, il racconto presente e il suo comportamento.
Può essere molto utile esaminare come reagisce il paziente a un’indagine sul potenziale comportamento antisociale che potrebbe derivare da ciò che egli ha detto ma che non ha “riconosciuto”. Per esempio, domandare a un paziente la cui storia evidenzia una naturale tendenza a prostituirsi: “ che cosa ti impediva di prostituirti?” o, similmente, chiedere ad un drogato “ perché non vorresti trafficare in stupefacenti?” può mettere alla prova le funzioni del Super-io del paziente così come la sua onestà di fronte al terapeuta. Ovviamente, se scopriamo che un paziente mente al terapeuta senza rendersi conto che sta mentendo (molte personalità antisociali possono essere consapevoli di farlo ma continuare), dovremo interrogare i parenti; si renderanno altresì necessari interventi di tipo sociale specializzato e dovremo richiedere la documentazione dei centri istituzionali con i quali il paziente ha avuto a che fare. Per quanto riguarda le ragioni che inducono il paziente a consultare uno psichiatra – tra esse, si può annoverare il tentativo manipolatorio di ottenere un certificato per essere reinserito a scuola o per evitare procedure legali – anche queste possono servire ai fini sia diagnostici sia prognostici. L’esame di tutti questi fattori normalmente richiede diversi colloqui; può essere necessario ritornare più volte su zone incerte e confuse e valutare a più riprese il modo in cui il paziente reagisce quando è messo a confronto con le stesse manovre depistanti o con le sue contraddizioni.
Il controtransfert che si sviluppa con comportamento antisociale pronunciato può a sua volta fornire informazioni: il terapeuta può reagire con senso di confusione; può essere tentato sia di accettare acriticamente le affermazioni del paziente sia di rifiutarle con un atteggiamento paranoide nel controtransfert; può opporre una “pseudoneutralità protettiva” che cela una sottostante svalutazione del paziente o il desiderio di sfuggire al rapporto intollerabile con una persona che implicitamente attacca i valori di base dei rapporti umani. A mio avviso, l’oscillazione del terapeuta tra una posizione paranoide e momenti di sollecitudine – in altre parole, una vera e propria ambivalenza nelle sue reazioni a questi pazienti - costituisce una risposta sana. È utile che il terapeuta sia in grado di presentarsi come un individuo morale ma non moralista, gentile ma non ingenuo, capace di tener testa, ma non aggressivo. La confrontazione come strumento tecnico significa raccogliere con tatto gli aspetti contraddittori o confusivi del racconto del paziente, del suo comportamento, e/o del suo passato; non è una dimostrazione aggressiva di critica o di disapprovazione.
Di norma, si può escludere la possibilità che esista un disturbo affettivo maggiore, con un’accurata anamnesi e un esame dello stato mentale; i test psicologici possono fornire un aiuto ulteriore nell’escludere un disturbo mentale organico, come l’epilessia temporale o una sindrome limbica, disturbi che possono presentarsi con un comportamento aggressivo esplosivo. Possono, inoltre, servire a escludere un disturbo schizofrenico atipico quale la “schizofrenia pseudo-psicotica”. Quando il comportamento antisociale si sviluppa nell’età adulta media o tarda, contemporaneamente a perdita di memoria e incapacità di ragionamento astratto elevato, sarà opportuno prendere in esame la possibilità di disturbi mentali organici cronici, richiedendo, in aggiunta ai test psicologici, esami neurologici, l’EEG, e radiologici.
Se può essere esclusa una vera e propria personalità antisociale, la successiva categoria diagnostica da considerare è il dirturbo narcisistico di personalità con sindrome di narcisismo maligno, o una personalità narcisistica con tratti antisociali passivo-parassitari predominanti.
Narcisismo maligno
Questi pazienti, caratterizzati da un tipico disturbo narcisistico di personalità, comportamento antisociale, sadismo egosintonico o aggressività radicata caratterialmente, nonché da orientamento paranoide, in antitesi con la personalità antisociale vera e propria, sono capaci di essere leali e di preoccuparsi per gli altri o di sentirsi colpevoli; sono in grado di concepire gli altri come persone che nutrono preoccupazioni e convincimenti morali; possono presentare un atteggiamento realistico verso il proprio passato e pianificare il futuro.
Il loro sadismo egosintonico può essere espresso in una “ideologia” cosciente di autoaffermazione aggressiva ma anche, abbastanza frequentemente, in tendenze croniche suicidarie egosintoniche. Queste tendenze suicidarie non emergono quale parte di una sindrome depressiva, bensì durante crisi emotive o persino inaspettatamente, con la fantasia sottostante (conscia o inconscia) che essere capaci di togliersi la vita comporti superiorità e trionfo sulla usuale paura de dolore e della morte. Commettere suicidio, nella fantasia di questi pazienti, significa esercitare un controllo sadico sugli altri o “piantare in asso” un mondo che essi percepiscono come incontrollabile. L’orientamento paranoide di questi pazienti (che psicodinamicamente riflette la proiezione sugli altri di precursori sadici non integrati del Super-io) si manifesta nella loro esagerata valutazione degli altri come idoli, nemici, o stupidi. Questi pazienti sono portati alla regressione in episodi micropsicotici paranoidi nel corso di una psicoterapia intensiva; in tal modo, essi evidenziano assai teatralmente le funzioni complementari delle interazioni antisociali e paranoidi nell’ambito interpersonale (Jacobson, 1971b; Kernberg, 1984). Alcuni di essi presentano talvolta un comportamento antisociale razionalizzato, per esempio come leader di bande sadiche o di gruppi terroristici. Una autoimmagine idealizzata e una ideologia egosintonica sadica, manipolata ai propri fini, razionalizzano il comportamento antisociale e possono coesistere con la capacità di lealtà verso i propri compagni.
Disturbi narcisistici di personalità con comportamento antisociale
Questi pazienti presentano diversi comportamenti antisociali, principalmente di tipo passivo-parassitario, e tracce di comportamento morale autonomo in alcuni ambiti o di sfruttamento crudele in altri. Essi non manifestano il sadismo egosintonico, l’aggressività verso se stessi o l’orientamento paranoide palese tipici della sindrome di narcisismo maligno. Sono in grado di provare colpa e preoccupazione, lealtà verso gli altri e un’appropriata percezione del passato, e possono pensare realisticamente al futuro e fare progetti; in alcuni casi, ciò che sembra essere comportamento antisociale è semplicemente manifestazione di incapacità a impegnarsi a fondo in relazioni di lunga durata. Prevalgono, qui, tipi narcisistici di promiscuità sessuale, irresponsabilità nel lavoro e sfruttamento emotivo o finanziario degli altri, anche se questi pazienti sono ancora capaci di avere a cuore gli altri, in alcuni ambiti e di mantenere normali responsabilità sociali in alcune interazioni interpersonali più distaccate.
Altri gravi disturbi di personalità con caratteristiche antisociali
Il livello contiguo di patologia, con implicazioni di prognosi e di terapia meno negative, è il comportamento antisociale nei disturbi di personalità diversi da quello narcisistico. Questi sono pazienti con organizzazione borderline di personalità e narcisismo non patologico. Esempi tipici sono il disturbo di personalità infantile, istrionico, isteroide o del terzo e quarto tipo di Zetzel (da non confondere con la personalità isterica vera e propria; vedi cap. IV) e il disturbo paranoide di personalità: questi sono i due disturbi di personalità più frequenti del gruppo che si presenta con comportamento antisociale. Nella personalità infantile, la pseudologia fantastica è frequente; la frase “il paranoide ha necessità di tradire” (Jacobson, 1971a) mette in luce la slealtà in un contesto paranoide. Nella mia esperienza, la maggior parte dei pazienti con disturbo fittizio con sintomi fisici e/o psichici, con patologica inclinazione al gioco d’azzardo, cleptomania, piromania e simulazione di malattia, se non presentano un tipico disturbo narcisistico di personalità, fanno parte di questo gruppo di disturbi di personalità con caratteristiche antisociali.
Disturbi nevrotici di personalità con caratteristiche antisociali
Qui troviamo i delinquenti di Freud (1916) per (inconscio) senso di colpa. Questi pazienti sono di grande interesse clinico poiché il loro comportamento antisociale, talvolta drammatico,si presenta all’interno di un’organizzazione nevrotica di personalità e ha un’eccellente prognosi per il trattamento psicoterapeutico e psicoanalitico. Un paziente con un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità rubava oggetti di poca importanza dai posti pubblici dove lavorava, esponendo se stesso alla umiliante possibilità di essere sorpreso e minacciato di licenziamento. Fortunatamente, l’acuta valutazione psichiatrica di un collega aveva fornito questa informazione che protesse l’avvenire del paziente quando già era stato avviato il trattamento. Sebbene tali casi siano relativamente rari, l’enorme differenza tra la loro prognosi e quella dei gruppi summenzionati giustifica un’attenta valutazione della struttura di personalità in ogni caso di comportamento antisociale.
Comportamento antisociale quale parte di una nevrosi sintomatica
Questa categoria si riferisce a comportamenti antisociali occasionali come la ribellione adolescenziale, disturbi dell’adattamento, e/o in presenza, in molti casi, di un ambiente sociale che favorisce lo sbocco di conflitti psichici in un comportamento antisociale.
Reazione asociale
Questa sindrome relativamente rara sul piano clinico si riferisce all’adattamento normale e/o nevrotico a un ambiente o a un sottogruppo sociale anormale. Nella pratica clinica la maggior parte di questi pazienti presenta qualche tipo di disturbo di personalità che facilita il loro adattamento acritico a un sottogruppo sociale con comportamenti antisociali.
Considerazioni prognosiche e terapeutiche
Il trattamento del comportamento antisociale è essenzialmente psicoterapeutico, a eccezione, naturalmente, del caso in cui il comportamenti si presenti nel contesto di un disturbo mentale organico o di una psicosi. I livelli di gravità del comportamento antisociale che ho descritto corrispondono alla prognosi del trattamento psicoterapeutico. Il primo, cioè il vero e proprio disturbo antisociale di personalità, ha la prognosi più sfavorevole, al punto che quasi nessuno di questi pazienti risponde ai consueti approcci psicoterapeutici. Il trattamento del disturbo antisociale di personalità nell’infanzia, comunque – il “Disturbo della Condotta” nel DSM-III-R – ha una prognosi più favorevole, e sono stati riportati risultati incoraggianti dalla cura di questi bambini in centri residenziali specializzati (Diatkine, 1983). Il “Disturbo della Condotta non socialmente aggressivo” sembra avere la prognosi meno favorevole. Questa diagnosi corrisponde a ciò che viene definito “tipo aggressivo solitario” nel DSM-III-R.
Per quanto riguarda i pazienti adulti, la psicoterapia ambulatoriale del paziente con disturbo antisociale di personalità si è dimostrata assai scoraggiante. Credo sia troppo presto per sapere se comunità terapeutiche specializzate per tali pazienti possano essere efficaci a lungo termine. Il trattamento prolungato di pazienti in ospedali specializzati o in strutture carcerarie sembrerebbe efficace in alcuni casi, in particolare se nonostante il rigoroso e incorruttibile controllo ambientale si consente ai pazienti-reclusi delinquenti di sottoporsi a una terapia di gruppo (Reid, 1981).
Il primo compito nel valutare pazienti con comportamento antisociale in condizioni normali di non istituzionalizzazione è di stabilire attentamente la diagnosi differenziale di cui si è detto e, quindi, di differenziare i disturbi di personalità che hanno prognosi favorevole dalla vera e propria personalità antisociale. Il secondo compito è di proteggere l’ambiente sociale con il quale il paziente è a contatto dalle conseguenze del suo comportamento, aiutando i membri della sua famiglia a proteggersi e trasmettendo loro, con la debita attenzione ma senza infingimenti, tutte le informazioni e i consigli relativi alla natura di questa psicopatologia e alla sua prognosi. Come molti ricercatori e medici hanno sottolineato, il fatto che il disturbo antisociale di personalità tenda ad estinguersi verso l’età adulta media o avanzata, può offrire qualche speranza a lungo termine o almeno un po’ di sollievo alla famiglia (S. Glueck, E. Glueck, 1943). Il terzo compito consiste nel creare condizioni realistiche per qualsiasi trattamento si voglia tentare, eliminando tutti i vantaggi secondari della cura: per esempio, sfuggire alla legge o continuare a dipendere parassitariamente dai genitori o da altri sistemi di supporto sociale.
La prognosi per il trattamento del narcisismo maligno, pur con riserva, è nettamente più favorevole di quella per la vera e propria personalità antisociale; nel corso di una psicoretapia psicoanalitica intensiva a lungo termine di alcuni di questi pazienti si osserva la graduale trasformazione del loro comportamento antisociale (e di quello, corrispondente, manipolatorio, sfruttatore, presente nel transfert) in resistenze prevalentemente paranoidi. Queste ultime possono persino sfociare in una psicosi paranoide di transfert ma anche, se e quando tale aggressione può essere contenuta e controllata nella psioterapia, nell’ulteriore graduale trasformazione in transfert più comuni, caratteristici dei gravi disturbi narcisistici di personalità. Un limite potenziale a questi sforzi terapeutici è rappresentato da pazienti il cui comportamento aggressivo è potenzialmente minaccioso per gli altri, compreso lo psicoterapeuta; la possibilità di violenza pericolosa, connessa con marcate reazioni transferali paranoidi, dovrebbe essere valutata prima di intraprendere la psicoterapia intensiva.
Il trattamento di pazienti con personalità narcisistica e caratteristiche antisociali può seguire le fasi usuali di una psicoterapia intensiva con questo disturbo di personalità. Questi pazienti, di solito, vengono indirizzati alla psicoterapia psicoanalitica più che alla psicoanalisi vera e propria; il che vale anche per altri gravi disturbi di personalità con caratteristiche antisociali.
PSICODINAMICA DEL NARCISISMO MALIGNO E DELLA PERSONALITA’ ANTISOCIALE
A mio parere, le scoperte psicodinamiche relative a pazienti con narcisismo maligno aprono la strada alla comprensione psicoanalitica della struttura intrapsichica e del mondo interno delle relazioni oggettuali nel vero e proprio disturbo antisociale di personalità.
I transfert di pazienti con narcisismo maligno riflettono sia la formazione di un Super-io precoce e colpevole sia il fallimento nel consolidare relazioni oggettuali totali nel contesto di un’integrazione dell’identità dell’Io. In sostanza, questi pazienti sono dominati dai precursori sadici del Super-io a tal punto che i precursori successivamente idealizzati del Super-io non possono neutralizzarli; quindi, l’integrazione del Super-io viene bloccata e i più realistici introietti del Super-io appartenenti al periodo edipico sono in ampia misura inaffidabili. Aspettative realistiche o proibizioni provenienti da oggetti parentali sono state o svalutate o trasformate in minacce persecutorie. Questi pazienti danno l’impressione che il loro mondo di relazioni oggettuali abbia esperito una trasformazione maligna, che ha portato a svalutazione e all’asservimento sadico di relazioni oggettuali interiorizzate potenzialmente buone da parte di un Sé integrato, anche se crudele, onnipotente, “matto” (Rosenfeld, 1971). Questo Sé patologico sadico e grandioso prende il posto dei precursori sadici del Super-io, assorbe tutta l’aggressività e trasforma quelle che altrimenti sarebbero le componenti sadiche del Super-io in una struttura anormale, che poi combatte contro l’interiorizzazione di successive, più realistiche componenti superegoiche.
Questi pazienti vivono gli oggetti esterni come onnipotenti e crudeli. Sentono che le relazioni oggettuali amorevoli, reciprocamente gratificanti, non solo possono essere facilmente distrutte ma contengono il seme di un attacco da parte dell’oggetto onnipotente e crudele. Un modo per sopravvivere è la sottomissione totale. Il passo successivo consiste nell’identificarsi con l’oggetto, che dà al soggetto senso di potere, liberazione dalla paura e la sensazione che l’unico modo di comunicare con gli altri sia la gratificazione della propria aggressività. L’alternativa è adottare un modo di comunicazione falso e cinico che denega completamente l’importanza delle relazioni oggettuali per diventare spettatore innocente anziché identificarsi con il tiranno crudele o sottometterglisi in modo masochistico. Le mie esperienze limitate, consistenti in tentativi di esplorazione psicodinamica di pazienti con vera e propria personalità antisociale, insieme con le scoperte che derivano dalla psicoterapia e dalla psicoanalisi intensiva di pazienti con narcisismo maligno, mi inducono a proporre le seguenti considerazioni.
Questi pazienti hanno avuto esperienze di selvaggia aggressività da parte dei loro oggetti parentali e riferiscono frequentemente di aver osservato e sperimentato violenze nella prima infanzia. Raccontano, inoltre, di essere assolutamente convinti dell’impotenza di qualunque relazione oggettuale positiva: i buoni sono, per definizione, deboli e inaffidabili, e il paziente manifesta disprezzo per quelli che sono percepiti vagamente come oggetti potenzialmente buoni. I potenti, invece, sono vissuti come necessari alla sopravvivenza, ma sono ugualmente inaffidabili e invariabilmente sadici. Il dolore di dover dipendere da oggetti parentali potenti, disperatamente necessari ma sadici, si trasforma in rabbia e viene espresso come rabbia per lo più introiettata; subentra, quindi, un’ulteriore esagerazione dell’immagine sadica degli oggetti cattivi potenti, che diventano intollerabili tiranni sadici. In questo mondo, che rammenta quello del 1984 di George Orwell (1949), l’aggressività è prevalente ma imprevedibile, e tale imprevedibilità preclude la sottomissione al tiranno sadico e impedisce al paziente di idealizzare il sistema di valori sadico dell’aggressore.
L’impossibilità di raggiungere l’idealizzazione degli oggetti differenzia la vera e propria personalità antisociale dall’aggressività “autogiustificabile” del paziente con narcisismo maligno, che ha almeno scoperto qualche possibilità di condensare il sadismo e l’idealizzazione identificandosi con un crudele tiranno idealizzato. L’impossibilità di idealizzazione impedisce al paziente antisociale anche il tentativo di sottomettersi masochisticamente a un’autorità prevedibile anche se sadica. Il paziente è profondamente, assolutamente convinto che solo il potere suo proprio sia valido e che il piacere del controllo sadico sia l’unica alternativa alla sofferenza e alla distruzione del debole. In tale mondo esiste la necessità (per parafrasare Paul Parin, in Parin ed al., 1971) di “temere il tuo prossimo come te stesso” e svalutare tutti i legami deboli con altri.
Sino a questo punto ho messo l’accento sul disturbo antisociale di personalità prevalentemente aggressivo. Il disturbo antisociale di personalità passivo-parassitario in antitesi, ha trovato una via di gratificazione mediante il potere sadico, denegando l’importanza di tutte le relazioni oggettuali, e idealizzando in modo regressivo la gratificazione dei bisogni recettivo-dipendenti – cibo, oggetti, denaro, sesso, privilegi – e il potere simbolico esercitato sugli altri strappando tali gratificazioni da loro. Il significato della vita, per questi pazienti, consiste nell’ottenere ciò di cui abbisognano, ignorando gli altri come persone e proteggendosi da punizioni vendicative. Mangiare, defecare, dormire, avere rapporti sessuali, sentirsi sicuri, vendicarsi, sentirsi potenti, essere eccitati – tutto senza essere scoperti dal mondo circostante, pericoloso anche se anonimo – costituisce una sorta di adattamento alla vita, anche se è l’adattamento di un lupo mascherato che vive tra le pecore, con il pericolo reale rappresentato dagli altri lupi mascherati allo stesso modo, contro i quali è stato costruito l’ “essere pecora” protettivo. Questa struttura psicologica permette il diniego dell’aggressività e la sua trasformazione in crudele sfruttamento.
Nei pazienti con narcisismo maligno, alcuni precursori del Super-io idealizzato sono stati coinvolti nel Sé grandioso patologico insediatosi aggressivamente, facilitando almeno un senso di Sé consolidato, un’autocomunità nel tempo e, mediante proiezione, anche un senso di stabilità e prevedibilità del mondo degli altri, ugualmente potenti e pericolosi. Il narcisismo patologico, la grandiosità egosintonica, il comportamento antisociale e l’allarme paranoide di questi pazienti permette loro di controllare il mondo interiore di relazioni oggettuali. Questo stesso Sé grandioso patologico li protegge, allo stesso tempo, da conflitti intollerabili riguardanti l’invidia primitiva che tormenta la personalità narcisistica meno protetta. La personalità antisociale vera e propria, viceversa, è protetta dall’invidia rabbiosa solo in virtù dell’appropriazione violenta, aggressiva o dallo sfruttamento passivo-parassitario degli altri.
Zinoviev (1984) ha condotto uno studio su gruppi sociali e istituzioni in regimi politici totalitari, le cui immagini di autorità morale sono proiettate sulla gerarchia suprema del sistema come figure esterne “persecutorie”. Egli dà particolare risalto alla corruzione sociale generalizzata, che consegue da tale struttura sociale e che può influenzare il comportamento pubblico di larghi strati di popolazione. Le sue terrificanti descrizioni della corruzione generalizzata della vita pubblica in tali situazioni evidenziano la dipendenza del comportamento morale dell’individuo dalla struttura sociale che lo circonda. I famosi esperimenti di Milgram (1963) dimostrano come l’obbedienza acritica all’autorità possa facilmente provocare l’incolpevole partecipazione a comportamenti sadici anche ad alti livelli di organizzazione psicologica e in un clima di libertà sociale. La realtà della personalità antisociale è l’incubo della persona normale; le realtà della persona normale è l’incubo dello psicopatico.